Era la mattina del mio ultimo giorno a Xiamen. Una successione in crescendo di grida provenienti dalla camera dei vicini squarciò come fossero di cartapesta le mura che per pura formalità recintavano le nostre intimità. Destinatario senza colpa di un dna che mi rendeva incapace di trapassare a piacimento dal mondo reale a quello dei sogni – negli anni nutrii una profonda invidia per quelle persone che dormivano a comando – accettai di buon grado l’ipotesi di un risveglio coatto. Incline per indole, poi, a trovare una buona ragione anche ai piccoli e fortuiti inconvenienti quotidiani decisi che fosse una buona occasione per scendere fino alla spiaggia. Mi sarei goduto l’alba nella confortevole speranza di non essere il solo ad essere già sveglio alle prime luci del giorno. Finte rocce in cemento si ammassavano a perdita d’occhio lungo l’ultimo lembo d’Oriente delineando una costa che sapeva di artificiale, perfino nella pulizia. Con un gesto atletico che sfuggì al controllo della mia pigra volontà mattutina mi sedetti su un grande masso a forma di nave. Da lì, diressi lo sguardo verso le centinaia di barche indorate di sole che prendevano il largo per la pesca dei gamberi, mentre una brezza salmastra portava a compimento le ultime fasi del mio risveglio. Il taxi che avevo prenotato con qualche difficoltà dalla reception del mio albergo – giurai di migliorare la mia pronuncia, mi fosse costato anche il corso di cucina tahititiana – sarebbe arrivato verso le dieci per portarmi all’aeroporto. Avevo già pagato l’affitto della piccola stanza che per due settimane aveva cullato le mie notti cinesi e la valigia era pronta. Decisi allora di proseguire lungo il viale alberato che portava alle strade del centro, lasciandomi trasportare dalle gambe che, sicure, procedevano passo dopo passo come se avessi avviato il pilota automatico. Diretto da quella volontà inconscia che sembrava parlare ai miei arti inferiori bypassando una parte del mio cervello, passai accanto alla casa da tè di Chen Yang, a pochi passi dall’albergo. Qualcosa mi spinse a varcarne la soglia d’ingresso: non avrei potuto accomiatarmi dalla Cina senza un’ultima tazza del miglior tè di tutta la provincia, pensai. Quando entrai il giovane inserviente che oramai mi conosceva bene mi venne incontro con tutti gli onori del caso per farmi accomodare. Senza nemmeno chiedermelo si segnò la mia ordinazione. Fu in quel breve soggiorno nel Fujian che mi appassionai, per non dire che ne ebbi dipendenza, ad una raffinata qualità di tè bianco. Ne amavo tutto, dal sapore delicato quasi di vaniglia, alla particolarità dei germogli, simili ad aghi argentati.
Poco dopo Yang in persona mi portò un chung d’acqua bollente e le foglie di tè riposte in una piccola scodella di ceramica bianca. Ci scambiammo un caloroso abbraccio e poi iniziai a preparare l’infuso seguendo i passi che l’antico rituale, insegnatomi dal mio caro amico, imponeva. Ma era la degustazione il momento in cui si poteva raggiungere lo stato di grazia assoluta. Sorseggiai così il tè cercando di far memoria di quel sapore che è la quintessenza stessa dell’Oriente e racchiude in sé il mistero di inaccessibili e arcani segreti sopravvissuti alle dinastie di ogni tempo. Ero ancora assorto in pensieri vaporosi e alogeni che si confondevano nel fumo azzurrognolo emanato dal tè, quando una voce bassa e rauca mi sorprese alle spalle:
– Yin Zhen: una donna per imperatori. Lei è un vero intenditore. –
Mi voltai, come svegliato con uno scossone da un sonno profondo, verso l’uomo che mi aveva parlato. Ma non vidi nessuno. Quando mi rivoltai un po’ stranito lo vidi con la coda dell’occhio prendere posto accanto a me. Aveva un’aria distinta ed era ben vestito. Doveva avere cinquant’anni, ma potevano essere anche sessanta: faticavo ancora a dare con precisione un’età a certi orientali. Baffi brizzolati e ben curati, un paio di minuti occhiali portati, forse per vezzo, sulla punta del naso e un cipiglio che gli corrugava la fronte gli conferivano un aspetto intelligente e stimabile. Sebbene amassi assaporare certi momenti in assoluta intimità – la pausa introspettiva del tè era uno di quei momenti – la presenza di quell’uomo non mi disturbò affatto.
– La ringrazio, ma non credo di aver nulla dell’imperatore. – Gli risposi, accennando di rimando un sorriso cordiale come quello che aveva dipinto con naturalezza sul volto.
Guardai fuori dalla finestra per vedere se il mio taxi era arrivato. Da quella posizione riuscivo a vedere l’albergo. L’uomo, intanto, ordinò del tè Wulong, che i cinesi chiamano il tè della bellezza. Poi si volse nuovamente a parlarmi:
– Aspetta qualcuno? –
– Aspetto un taxi. –
Mi resi conto di esser stato quanto mai laconico, ma era come se non volessi togliergli la parola per troppo tempo, quasi sapessi che aveva qualcosa da dirmi.
– Quale singolare coincidenza. Lei è un amante del tè dell’Imperatore ed io del tè Wulong. E la incontro oggi, nell’anniversario della morte di Yi Nu. Se me lo permette voglio raccontarle una storia che pochi conoscono. –
Senza sapere di cosa si trattasse mi sentii onorato di essere complice di quella coincidenza e destinatario di una racconto tanto misterioso. Feci un piccolo cenno col capo e lasciai che continuasse.
– Narra una leggenda che alcuni secoli fa un imperatore decise di mandare le proprie guardie ai quattro angoli del suo impero per rapire le ragazze più belle del regno: tra esse egli avrebbe scelto la sua futura sposa. Le guardie per settimane fecero razzie di fanciulle in ogni provincia e distretto che attraversarono. Andarono di villaggio in villaggio strappando alle madri le loro figlie più belle e sul calar della sera del ventinovesimo giorno giunsero a Shanjianxu dove incontrarono una giovane contadina di nome Yi Nu. Ammutoliti per la straordinaria bellezza della ragazza si convinsero che la loro ricerca sarebbe terminata con lei e che l'imperatore ne sarebbe rimasto entusiasta. Quando la presero, con la forza, la sorella di Yi Nu si gettò ai loro piedi. Prima implorò la loro clemenza e poi, rassegnata all’impotenza delle sue suppliche e in lacrime, per offrirsi al suo posto. Uno dei soldati decise di prendere entrambe le ragazze certo che la compagnia della sorella avrebbe reso più lieta alla futura compagna dell'imperatore la sua permanenza tra le stanze del palazzo. Quando l'imperatore vide Yi Nu si rivolse alle proprie guardie e disse: "Ci avete impiegato solo trenta giorni per portarmi la luna e per lasciare senza parole il vostro imperatore". Poi informò la bella contadina che presto sarebbe divenuta la sua sposa e che avrebbe potuto prendersi la sorella come sua serva, se lo desiderava.
Yi Nu avrebbe voluto morire piuttosto che giurare eterna fedeltà all'imperatore perché era innamorata di un umile pastore che corrispondeva il suo amore da quando erano fanciulli. Mille volte si erano giurati fedeltà eterna e mille volte avevano sognato il giorno in cui sarebbero vissuti assieme nella casa che sognavano, accanto al fiume. Yi Nu sapeva che non avrebbe mai più rivisto il suo amato pastore, tuttavia non smise un solo istante di rivolgere a lui i suoi pensieri più dolci e le proprie preghiere. Spesso parlava di lui con la sorella, che non aveva voluto abbandonarla al suo destino, ma ogni volta col timore che le loro conversazioni venissero scoperte. Non poteva pensare a cosa sarebbe accaduto al suo amato se l'imperatore avesse scoperto che desiderava un altro uomo. Lo avrebbe fatto di sicuro cercare dai suoi soldati per farlo uccidere. Allora Yi Nu inventò una scrittura segreta e, col tempo, le due sorelle iniziarono a scriversi su fogli di carta di riso ogni cosa, dall'amore della giovane contadina per il suo pastore, ai ricordi delle giornate nei campi assieme ai loro genitori. Ai sogni che avrebbero tanto voluto realizzare. Poterono così scrivere tutto il loro odio per l'imperatore poiché nessuno avrebbe scoperto il contenuto di quei messaggi e questo le aiutava a sfogare la loro rabbia che come un seme d’odio faceva germogliare nei loro cuori i fiori del male. Gli anni passarono e anche la leggendaria bellezza di Yu Nu cedette al passare delle stagioni, al punto che ella credeva di non poter più piacere al giovane pastore che ancora portava nel cuore. Così una mattina, dopo aver sedotto una delle guardie che vegliavano costantemente su di lei, gli rubò il pugnale e si trapassò le carni. La guardia per il suo tradimento venne uccisa in pubblico e la giovane sposa venne strappata alla morte che tanto bramava dai medici dell’imperatore. Ma l'odio per chi le aveva rubato i sogni e la voglia di amare la vita la portò a confessare davanti a tutti che ella non amava il suo imperatore e che nel suo cuore c'era un altro uomo a cui rivolgeva ogni suo pensiero, anche quando si concedeva a lui. Lo sdegno e la rabbia dell'imperatore per l’affronto subito furono enormi e le due sorelle vennero uccise senza alcuna pietà. –
Poi l’uomo aprì la valigia che portava con sé e ne trasse un piccolo rotolo di carta, sigillato al centro da un nastro di raso rosso.
– Nei pressi del villaggio di Shanjianxu, – continuò – nella regione meridionale dello Hunan, sorge il tempio della Montagna Fiorita. Questo luogo sacro è dedicato a Yi Nu e a sua sorella. Da secoli le contadine dello Hunan venerano i loro spiriti e sovente portano al tempio piccoli rotoli di carta di riso, come questo, e in essi confidano alle due sorelle i loro segreti, i loro desideri. Ma quelle preghiere… Quelle parole nessun uomo è mai riuscito a leggerle. Esse non sono scritte in cinese ma in nushu, una lingua creata da alcune donne per comunicare fra loro, in segreto. La mia famiglia conserva questo rotolo da generazioni. Si dice appartenga alla bella Yi Nu. Non so cosa vi sia scritto. Nessuno lo sa. So solo che mia madre prima di morire mi disse che se nel giorno di Yi Nu avessi incontrato un imperatore straniero avrei dovuto donargli questo rotolo pregandolo di conservarlo come fosse un tesoro prezioso. Credo che quel giorno sia arrivato e credo che l’imperatore di cui mia madre parlava sia lei. –
Un brivido mai provato prima mi attraversò tutto il corpo. Passavo da turista sfaccendato in procinto di ritornare alla routine del proprio lavoro, a destinatario di un tesoro di cui non sapevo nemmeno calcolarne il valore. Io, un semplice broker assicurativo in vacanza, ero diventato improvvisamente l’imperatore di una sorta di profezia che si stava compiendo esattamente quel giorno, in una tranquilla casa da tè, a migliaia di chilometri dal mio paese. Ebbi un attimo d’esitazione che l’uomo non tardò a notare.
– La prego, è solo un rotolo di carta in cui c’è scritta probabilmente una lettera di Yi Nu. Nulla di più. Da bambino pensavo spesso al giorno in cui l’avrei incontrata… Forse è solo il desiderio che quel giorno sia finalmente arrivato che mi spinge ora a darle questo rotolo. La scorsa notte, però, ho sognato questo momento, in un altro luogo e con un uomo di cui non ricordo il volto, ma che aveva la sua stessa voce. Perciò la prego di accettare questo mio regalo. Sento che le appartiene. –
Allungai la mano per prendere il rotolo con lo sguardo fisso sul piccolo nastro che lo chiudeva. Guardai l’orologio e poi mi voltai verso la finestra. Il taxi era arrivato, probabilmente da poco. Mi congedai da quell’uomo con la sensazione di non averlo ringraziato abbastanza. Riuscii solo a promettergli di aver cura di quel suo dono, così prezioso. Salutai ancora una volta Yang e poi mi diressi di corsa verso l’auto che mi stava spettando dall’altro lato della strada.
– Buongiorno. All’aeroporto, grazie. –
– Come desidera, imperatore. – Mi parve di sentire. Ma il tassista si mangiò le parole e con la pronuncia cinese non avevo ancora confidenza.
Durante il viaggio in aereo continuai a stringere tra le mani quel rotolo di carta, ma non ebbi il coraggio di aprirlo. Sono passati alcuni anni da quel giorno e non l’ho mai aperto. È ancora nel cassetto dove lo misi al mio ritorno, assieme ai miei effetti più cari. Se anche lo aprissi, nessuno potrebbe dirmi cosa c’è scritto: solo Yu Nu e sua sorella conoscevano quella scrittura. Ho imparato che il Destino è come una serie di infinte stanze tra loro comunicanti, con infinite porte. Non so se le chiavi per aprirle le abbiamo già, o ci vengono consegnate in un momento prestabilito, da qualcuno che si fa messaggero inconsapevole di parole e fatti per noi importanti. Avevo aspettato trent’anni prima di poter incontrare quell’uomo e di ricevere dalle sue mani quel rotolo. Forse il giorno in cui lo avrei aperto per leggerne il contenuto sarebbe presto arrivato. Forse.
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