
Eccomi. Dietro di me solo una scia di orme che giace su una distesa marmorea di sabbia. Sopra la mia testa i quattro eserciti delle nuvole si spartiscono gli ultimi lembi di cielo: i Bianchi Arceri arrivati da Est si sono disposti uno accanto all’altro con gli archi tesi e pronti a colpire. Da sud marcia inesorabile la Legione del Vento Nero, mentre a Nord tuona il grido di guerra di un'orda di Nembi. Guardo ad Ovest, ma sono ancora lontani. Presto arriverà l’esercito della Falce Grigia e inizierà una nuova battaglia per la conquista del tetto del mondo. Molti cadranno prima del sorgere del nuovo sole e altro sangue si spargerà, ma sarà servito a nutrire la terra. Seduto sulla sabbia umida osservo il volo di una coppia di gabbianelle che si librano tra cielo e terra. Lei e lui, ne sono certo. Lei è quella che è appena scesa a lambire le onde che giocano a rincorrersi sulla superficie del mare, incalzate dal vento. Lui, dietro, la segue istintivamente, fendendo l’aria con il becco ad ogni virata. Quanto starà penando, penso. Ma poi mi rendo conto che loro non hanno peso, come non lo hanno due onde d'aria, ed ogni movimento, anche il più repentino e brusco, sembra non costare fatica. Un timido tramonto sta cedendo il passo alla luna, ma scende lento. Ora è fermo. Anche lui, come me, osserva al di là del mare il loro amore. Non v'è dubbio che si amino, non v'è dubbio. Nemmeno l’Apocalisse potrebbe interrompere il loro corteggiamento, né il nero della Notte dei Tempi impedirgli ora di guardarsi. Una brezza salmastra inquieta la mia anima: ho voglia di volare. In fondo non c'è nessuno, non vedo perché non farlo. E poi tra un po’ scoppierà il diluvio e tutti cercheranno riparo nelle loro case. E se anche mi vedessero? Pensino pure di me che sono pazzo, tanto, in fondo, sono il primo a crederlo. Apro le braccia e osservo le estremità delle mie mani; come vorrei che un bianco piumaggio di gabbiano le ricoprisse. Tendo le dita, forte, e tento di allungarmi oltre i limiti del mio corpo. Ci sto stretto, io, qui dentro. Giro i palmi delle mani al vento e le sento gonfiarsi come le vele di un vascello. Chiudo gli occhi e non sento più il peso delle mie membra mentre il pensiero si libra oltre la ragione. Voglio essere un uccello e non subire più le catene della gravità: devo diventare vento. Voglio essere l’aria, galeotta, che sorregge il volo di quei due gabbiani, per scendere con loro in picchiata increspando le onde del mare. Voglio essere il mare, che nulla teme, nemmeno il giorno in cui non potrà più abbracciare la terra. Voglio essere i suoi abissi e le sue onde. Voglio essere acqua: un principio primo. Voglio essere, semplicemente, l’eterno del Creato.
E me ne sto seduto al limite del mare,
ne prendo le distanze per osservare
il moto perpetuo delle sue onde
gioco di richiami, di rilasci: sponde
ove rimbalza, molle, la mia ragione.
Archi perfetti sulla sabbia scura
sono un’impronta d’eterno:
una parola scritta infinite volte.
Ma è una scritta sulla sabbia che svanirà come le orme dei miei passi.
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