Scesi dall’autobus e mi diressi verso l’imbarcadero chiedendomi se avessi dimenticato qualcosa. In coda, alla biglietteria, aprii lo zaino e controllai. C’era tutto. Alle sei Roberto mi aspettava all’isola di San Giorgio: ci attendeva un lavoro tranquillo, un buffet per il compleanno di una famosa stilista. Caricai lo zaino sulla spalla e aspettai il mio traghetto. Aveva piovuto e non era caldo, ma cercai un posto in fondo, allo scoperto. Mi ci volle un po’ prima di accorgermi dell’uomo seduto accanto a me. La poca luce che filtrava da un cielo di grafite si rifletté su una moneta d’oro che continuava a passarsi da una mano all’altra, sul dorso delle dita. Vi era incisa una croce gigliata.
– La prossima fermata è San Giorgio? – Mi chiese.
Aveva una voce sottile e un divertente accento francese.
– No, ne mancano ancora due. Scendo anch’io lì. –
I lineamenti del suo volto erano armoniosi e appena accennati. La pelle, bianca e lucida, contrastava i suoi occhi scuri. Se non fosse stato per un ematoma intorno al collo poteva sembrare un manichino.
– E’ un pianista? – Gli chiesi.
– Cosa glielo fa credere? – Mi chiese a sua volta.
– Le sue mani. E la moneta… Sembra un esercizio. –
L’uomo sorrise. Dovevo averlo stupito per quella mia deduzione. O forse per la convinzione che dimostrai.
– No, non sono un pianista, ma lo era mio padre. –
Mi sentii stupido. Speravo terminasse la frase, svelandomi la sua professione. Ma proseguì dicendo:
– Lei, invece, fa il cameriere. –
Stetti in silenzio. Volevo chiedergli come avesse fatto ad indovinare, quando mi disse:
– Pronto a servire gli invitati di Marina Ziltener? –
Non ricordo quale fu la mia reazione. So che non gli risposi. Lo guardai meglio, per capire se lo avevo già visto. Forse mi conosceva. Ma lui continuò sorridendo:
– No… Oggi è la prima volta che ci incontriamo. –
Per qualche istante non riuscii a respirare. I lineamenti di quel volto così delicato si fecero improvvisamente taglienti. Il suo sguardo si adombrò. Infine aggiunse:
– Quando ha rovistato all’interno della sua borsa io ero in coda per prendere il biglietto, dietro di lei. Così ho notato che porta con sé una divisa da cameriere. Poi mi ha detto che sarebbe sceso a San Giorgio e la festa per la signora Ziltener è l’unica in programma sull’isola. –
Quello che accadde da quel momento sino a quando ripresi il traghetto non l’ho mai raccontato prima d’ora.
Durante la serata incontrai quattro giovani musicisti. Era un quartetto d’archi che avevo già visto esibirsi all’Open Air Theatre di Londra e così chiesi loro se avrebbero suonato anche quella sera “Through the Alchemist's Eyes”. Mi dissero che non avevano avuto tempo per provarlo e che erano lì per sostituire un famoso prestigiatore francese, tragicamente scomparso. Domandai chi fosse e come fosse scomparso. Il violoncellista mi disse che avevano ritrovato un corpo la notte scorsa incagliato sul fondale di un canale, a San Giorgio. Era il corpo di Jean-René de La Croix.
Per tutta la sera non smisi un solo istante di pensare a quel prestigiatore e all’uomo che avevo incontrato. Il suo accento francese, il suo aspetto, la croce… Ero certo che fossero la stessa persona. Credevo alla vita dopo la morte, all’esistenza dell’anima, perciò ero sicuro di aver parlato con lo spirito di Jean-René.
Terminata la festa salutai Roberto e mi diressi verso l’approdo del traghetto. Forse mi sarebbe apparso ancora. Lo speravo. Mentre camminavo udii un rumore metallico. Mi voltai alla mia destra e vidi qualcosa muoversi e brillare. D’istinto mi misi a correre. Ora riuscivo a distinguerne la forma: era una moneta. Fui a pochi metri dal raggiungerla, ma più correvo, più la moneta accelerava la sua corsa. Mi gettai a terra, ma prima che potessi afferrarla cadde nelle acque della laguna. La osservai scendere lentamente in profondità e mentre roteava riconobbi la croce gigliata.
Salii sul traghetto, ma questa volta non lo incontrai.
La mattina seguente feci alcune ricerche e scoprii che era morto per strangolamento. In una sua biografia, lessi che da ragazzo era stato rinchiuso nell’ospedale psichiatrico di Villejuif perché era convinto di poter parlare con gli spiriti. Quando ne uscì disse che non aveva più nessuna visione e a distanza di qualche anno raccontò di essersi inventato tutto solamente per avere le attenzioni dei suoi genitori.
Credo che prima di essere rinchiuso Jean-René parlasse realmente con i morti. E credo che avesse continuato a vederli anche dopo. Forse la moneta che ho rincorso era solo il suo ultimo prestigio. Quello che so è che non erano immaginari quegli amici che avevo da bambino.
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