domenica 11 novembre 2007

La figlia del vento

Illuminato dal sole, il rivolo rosso rubino scivolò lentamente dalla bottiglia e si adagiò sul calice che tenevo tra le dita. Nudo prigioniero del cristallo, il vino dondolò dolcemente sotto i miei occhi. Lo feci roteare, in un’ultima danza, liberando frammenti di luce violacea ed un profumo, intenso, che ridusse a poco a poco i miei sensi alla sola memoria di un tempo lontano. Appoggiai le labbra alla coppa e socchiusi gli occhi. In quel primo sorso, come in una pellicola in bianco e nero che prendeva colore, rividi la sua immagine e udii le voci della gente attorno a me. Avevo undici anni quando Anita comparve nella mia vita. E fu un vento che agitò le acque della mia anima. Era una domenica, la prima dopo la vendemmia, e tutto il paese era sceso in piazza per la Festa della Pigiatura, una tradizione antica e di buon auspicio per il vino nuovo. Io assistevo per la prima volta a quel rito rimasto inalterato nei secoli. La piazza era gremita di gente ed io, con una statura che rendeva poca giustizia alla mia età, mi limitavo a seguire il nonno che si faceva strada tra mura di corpi. I suoi occhi azzurri quel giorno brillarono come il mare quando è increspato dal vento in una giornata di sole: la vita nei campi, i giorni gratificanti del raccolto e le feste paesane erano tutta la sua vita. Improvvisamente fui invaso da un frastuono di grida e applausi, accompagnati dal rullo dei tamburi e dal riverbero assordante dei cimbali. Eravamo un’unica membrana di pelle viva che vibrava sotto le percosse dell’euforia contadina. Chiesi a mio nonno cosa stesse accadendo e lui mi disse che era arrivata la giovane che avrebbe pigiato l’uva. Poi, strizzandomi l’occhio, mi disse di prepararmi, perché di lì a poco avrei visto la più bella ragazza del paese. Era la prima volta che il nonno si abbandonava ad una confidenza come quella, lui che era sempre stato così riservato. Io ero in quell’età in cui le donne non sono ancora una tentazione, ma piuttosto un’innocente curiosità cui ci si avvicina più per caso che per propria volontà. Quando la vidi, però, il mio cuore di ragazzino ebbe un sussulto mai provato prima. I suoi lunghi capelli neri, gli occhi scuri come quegli acini d’uva matura che alzava benevola al cielo, quel sorriso acerbo, ma spietatamente sensuale: a parole non sarei in grado di descriverne la bellezza. So solo che quel giorno, in quel preciso istante, Grazia ed Eros si amarono in lei di un amore senza tempo. È quella l’immagine che più amo ricordare di Anita: un’Afrodite contadina che danza sull’uva morbida con le movenze delle donne gitane, mentre un vento andaluso scuote il suo vestito bianco scoprendole le gambe e accarezzandole i capelli, come fosse una mano invisibile. Come fosse la mia mano.

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